martedì 21 febbraio 2012

LA CURIOSITA'


Tutti sappiamo che cos'è la curiosità: è il desiderio di conoscenze, di informazioni e stimoli mentali nuovi. In psicologia, con il supporto della psicologia cognitiva e della neurofisiologia, viene data una definizione più tecnica.
La curiosità è l'esigenza di mantenere a un livello ottimale l'attività di elaborazione di informazione, regolando gli input, cioè le informazioni in arrivo.
In psicologia si parla anche di comportamenti esplorativi. Anche questi sono noti al senso comune, perchè capita di vederli spesso, sia negli uomini, sia negli animali
-> Es: un cane appena messo in un cortile ne esplora tutti gli angoli, un bambino si aggira per casa guardando, toccando, manipolando un'infinità di cose ecc...
In scienza si cerca di elaborare concetti più precisi e operativi di quelli del senso comune. Si è notato che i comportamenti esplorativi tendono a sfumare indistintamente in quelli ludici. Ad esempio, è difficile stabilire se il bambino che si aggira per casa stia esplorando o se non stia giocando.
Ci si è preoccupati, inoltre, di distinguere tra tipi diversi di comportamenti esplorativi (classificazione di D.E. Berlyne).
Vengono distinti, come prima cosa, i comportamenti esplorativi in senso stretto e i comportamenti epistemici, dove l'individuo si muove nel pensiero e l'esplorazione verte sulle conoscenze che si posseggono.
I comportamenti esplorativi veri e propri possono essere di orientamento, di locomozione o di investigazione.
I comportamenti epistemici comprendono a loro volta il consultarsi con altre persone, il passare in rassegna i fatti e il ragionare.
I comportamenti esplorativi sono strettamente legati alla curiosità, perchè questa in genere si manifesta così. Però, non sempre l'esplorazione è dettata dalla curiosità. Ad esempio, è difficile dire se un cane che esplora un cortile che non conosce lo faccia per curiosità o se non si stia semplicemente orientando.


Un aspetto interessante dei comportamenti esplorativi è che a volte gli individui per portarli avanti corrono anche dei rischi. Questi possibili pericoli non riguardano solo i bambini, bensì anche gli adulti (es. le esplorazioni geografiche di Livingstone, che morì di dissenteria contratta in Africa e Marco Polo o Cristoforo Colombo).

                                                              

Ciò ci fa capire che la curiosità e i comportamenti esplorativi hanno radici profonde nella nostra natura di esseri viventi e di uomini.

Il tema della curiosità e dei comportamenti esplorativi ha avuto particolare rilievo nella psicologia del '900, specie nel dopoguerra.
Charles Darwin aveva prestato attenzione ai comportamenti improduttivi e apparentemente immotivati e li aveva collegati alle capacità cognitive superiori dei mammiferi e dei primati. Oggi sappiamo che il significato evolutivo della curiosità e dei comportamenti esplorativi è più complesso, perchè possiamo ritrovarli anche in animali inferiori come uccelli e pesci.
Freud, nello studio della psicanalisi, aveva preso in considerazione la curiosità umana e l'aveva interpretata come uno sviluppo adulto della curiosità sessuale infantile. Da grandi trasferiremmo il nostro grado di conoscenza sessuale su fatti non sessuali. Le persone poco curiose, secondo Freud, avrebbero represso i loro desideri di conoscenza sessuale.

E' però negli anni '50 e '60 che questo tema è balzato in prima piano nella storia della psicologia: il tema si è trovato al centro di due cambiamenti radicali di prospettiva.
Il primo riguarda l'apprendimento. Le concezioni in auge nella prima metà del secolo consideravano l'apprendimento un processo passivo determinato dall'esterno, dagli stimoli ambientali.
Dopo la seconda guerra mondiale le concezioni passive dell'apprendimento hanno perso credibilità e sempre più si è insistito sul ruolo attivo del soggetto che impara.
L'altra rivoluzione di pensiero riguarda la motivazione. In questo ambito si è capito che la curiosità è una motivazione primaria su basi biologiche, come la fame e la sete. A differenza di queste, però, essa risponde a bisogni cognitivi, più precisamente all'esigenza della mente di tenersi in esercizio.

Quando appaghiamo la curiosità contano le cose che facciamo in sè, non per i vantaggi che secondariamente possono portarci.


IL COMPORTAMENTO ESPLORATIVO

I processi che promuovono l'attenzione selettiva e che spianano la strada all'uno o all'altro degli stimoli in competizione per il controllo del comportamento, si distinguono in due classi.
E' chiaro che debbano esistere dei processi centrali che influiscano sul destino dell'informazione sensoriale.
Esistono anche altri processi, anteriori rispetto ai precedenti, che influiscono sulla natura stessa della stimolazione che raggiunge gli organi di senso.

Le risposte esplorative possono aiutare uno stimolo a vincere la contesa per l'attenzione aumentandone l'intensità e indebolendo o eliminando i suoi maggiori rivali.

Ma il comportamento esplorativo non si limita a servire all'attenzione selettiva. la funzione principale della risposte esplorative consiste nel rendere accessibile un'informazione ambientale che prima non lo era.

LE FORME DEL COMPORTAMENTO ESPLORATIVO

Il comportamento esplorativo si può dividere in tre categorie, a seconda della natura delle risposte.
Quando le risposte esplorative consistono in un mutamento della postura, dell'orientamento o dello stato degli organi di senso, le chiameremo risposte orientative. Quando riguardano la locomozione le chiameremo risposte locomotorie.
E quando provocano mutamenti negli oggetti esterni, mediante manipolazione o altro, le chiameremo risposte investigative.

FATTORI DETERMINANTI DELLE RISPOSTE ORIENTATIVE SELETTIVE

Nell'esperimento di Berlyne si è verificato che gli stimoli nuovi tendono ad attrarre i movimenti visivi più di quelli già ripetutamente apparsi nel recente passato. Il procedimento consisteva nel proiettare per 10 secondi su uno schermo coppie di figure d'animali, l'una di fianco all'altra, e, nel corso di dieci prove, da una parte si vedeva sempre lo stesso animale, mentre dall'altra ne appariva sempre uno diverso. Il risultato fu che i soggetti impiegavano una porzione sempre maggiori dei 10 secondi di esposizione a fissare le figure nuove e una sempre minore a guardare quella ricorrente.

Sono stati fatti poi altri esperimenti da cui si è scoperto che negli adulti umani le risposte orientative sono influenzate anche da altre forme di complessità.

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